next up previous contents
Next: Esperienze di titolazione potenziometrica Up: POTENZIOMETRIA Previous: Il potenziale di giunto

La potenziometria come tecnica analitica

27.  I concetti fondamentali che abbiamo introdotto fino a questo punto sono quello che serve per discutere le applicazioni analitiche della potenziometria. Come abbiamo gia' accennato (punto 11) la chiave di volta e' l'equazione di Nernst, che fornisce il legame fra il potenziale elettrodico e la concentrazione in soluzione di un dato analita.

Abbiamo pero' imparato che cio' che si puo' misurare e' in realta' solo una differenza fra potenziali elettrodici e quindi una determinazione analitica per via potenziometrica richiede invariabilmente l'allestimento di una cella elettrochimica completa: uno dei due elettrodi sara' un elettrodo di riferimento, mentre l'altro, il cui potenziale e' utilizzato ai fini analitici, viene detto elettrodo indicatore.

Potenziometria diretta

28.  La potenziometria diretta consiste nella determinazione della concentrazione di un analita da una singola misura di differenza di potenziale in una cella.

29.  Un esempio di questo tipo di applicazione e' la determinazione dello ione $Ag^+$. Abbiamo una soluzione test che contiene una concentrazione incognita di ioni $Ag^+$; se immergiamo un filo di argento in questa soluzione otteniamo un elettrodo ad $Ag^+/Ag$, il cui potenziale e' legato proprio alla concentrazione che dobbiamo determinare dalla relazione (punto 13):

\begin{eqnarray*}
E_{Ag^+/Ag}&=&E^{\circ}_{Ag^+/Ag}+\frac{RT}{F}\ln\left[Ag^+\right]\\
\end{eqnarray*}



Il potenziale di questo elettrodo, che rappresenta quindi il nostro elettrodo indicatore, puo' essere misurato solo relativamente ad un elettrodo di riferimento e quindi dovremo allestire una cella come quella mostrata nella figura 1.10.

Figura 1.10: Cella per la determinazione potenziometrica dello ione $Ag^+$.

\begin{psfrags}
\psfrag{dummy}{}
\psfrag{voltmeter}{voltmetro}
\psfrag{oplus}[r]...
...{2cm}{elettrodo di\\ riferimento}}
\includegraphics {agplus-ag.eps}\end{psfrags}

La differenza di potenziale che si puo' misurare con il voltmetro e' data da:

\begin{eqnarray*}
\mathit{ddp}&=&E_{Ag^+/Ag}-E_{rif}+E_{giunto}
\end{eqnarray*}



dove $E_{Ag^+/Ag}$ e' il potenziale elettrodico dell'elettrodo indicatore, $E_{rif}$ quello dell'elettrodo di riferimento (non ha importanza specificare di che tipo; potrebbe essere un calomelano o un $AgCl/Ag$) e $E_{giunto}$ e' la somma di tutti i contributi dovuti ai potenziali di giunto (dalla figura si vede che ci sono due potenziali di giunto in corrispondenza al contatto delle due estremita' del ponte salino con le due soluzioni elettrodiche). Se scriviamo la forma esplicita di $E_{Ag^+/Ag}$ con la legge di Nernst ed isoliamo la concentrazione di ioni argento otteniamo:

\begin{eqnarray*}
\mathit{ddp}&=&E^\circ_{Ag^+/Ag}+\frac{RT}{F}\ln\left[Ag^+\rig...
...athit{ddp}-E^\circ_{Ag^+/Ag}+E_{rif}-E_{giunto}\right)\right)\\
\end{eqnarray*}



da cui si vede che, misurando $\mathit{ddp}$ con il voltmetro e $T$ con un termometro e conoscendo il resto, possiamo ottenere la concentrazione cercata. Va notato che, mentre i potenziali standard e i potenziali elettrodici degli elettrodi di riferimento piu' comuni sono tabulati con buona precisione, la misura o il calcolo dei potenziali di giunto presentano notevoli difficolta'. Quindi, in questo caso, il termine $E_{\mathit{giunto}}$ rappresenta sicuramente una possibile fonte di errore, tanto piu' in quanto compare in un termine esponenziale. D'altro canto, per la cella mostrata, c'e' da aspettarsi che i potenziali di giunto che si originano alle due estremita' del ponte salino siano di segno contrario e tendano quindi a cancellarsi.

30.  La cella di figura 1.10 puo' essere adoperata per la determinazione analitica di moltissimi ioni metallici: basta semplicemente cambiare il metallo dell'elettrodo indicatore. Ad esempio, se invece di un filo di argento utilizziamo un filo di rame, possiamo dosare gli ioni $Cu^{2+}$. In questo caso il potenziale elettrodico dell'elettrodo indicatore e' dato da:

\begin{eqnarray*}
E_{Cu^{2+}/Cu}&=&E^{\circ}_{Cu^{2+}/Cu}+\frac{RT}{2F}\ln\left[Cu^{2+}\right]\\
\end{eqnarray*}



e la differenza di potenziale che si puo' misurare con il voltmetro e' data da:

\begin{eqnarray*}
\mathit{ddp}&=&E_{Cu^{2+}/Cu}-E_{rif}+E_{giunto}
\end{eqnarray*}



da cui, identicamente a quanto visto prima, si puo' ricavare la concentrazione incognita di ioni $Cu^{2+}$.

31.  Le possibilita' dei metodi potenziometrici non sono certo limitate ai cationi metallici: esistono elettrodi indicatori per la determinazione di moltissime specie. Un esempio di elettrodo indicatore utilizzabile per gli ioni $Cl^-$ e' l'elettrodo ad $AgCl/Ag$. Ne abbiamo parlato a piu' riprese (punto 3, pagina [*], punto 20) e lo abbiamo citato come esempio di elettrodo di riferimento molto usato.

Riscriviamo la legge di Nernst per questo elettrodo:

\begin{eqnarray*}
E&=&E^{\circ}_{AgCl/Ag}-\frac{RT}{F}\ln\left[Cl^-\right]
\end{eqnarray*}



Questa relazione dice che, se la concentrazione di ioni $Cl^-$ e' mantenuta costante, allora il potenziale elettrodico rimarra' costante e su questo si basa l'impiego dell'elettrodo ad $AgCl/Ag$ come riferimento. Tuttavia, la relazione su scritta puo' essere intesa anche in senso ``analitico'' considerando la concentrazione di ioni $Cl^-$ come un'incognita da trovare misurando il potenziale elettrodico.

Al solito, si dovra' allestire una cella come quella mostrata in figura 1.11 e misurare la differenza di potenzaile fra l'elettrodo indicatore e quello di riferimento (che potrebbe essere anch'esso un elettrodo ad $AgCl/Ag$!):

\begin{eqnarray*}
\mathit{ddp}&=&E_{AgCl/Ag}-E_{rif}+E_{giunto}
\end{eqnarray*}



Da questa relazione si ricava, analogamente a quanto abbiamo gia' visto, la concentrazione incognita di ioni $Cl^-$.

Figura 1.11: Cella per la determinazione potenziometrica dello ione $Cl^-$.

\begin{psfrags}
\psfrag{dummy}{}
\psfrag{voltmeter}{voltmetro}
\psfrag{oplus}[r]...
...box{2cm}{elettrodo di\\ riferimento}}
\includegraphics{agcl-ag.eps}\end{psfrags}

Elettrodi combinati

32L'allestimento di una cella elettrochimica completa per effettuare una misura potenziometrica puo' essere di gran lunga semplificato utilizzando un cosiddetto elettrodo combinato. Si tratta di un sistema compatto che contiene l'elettrodo indicatore insieme all'elettrodo di riferimento in un unico assemblaggio: immergendo l'elettrodo combinato nella soluzione test si realizza una cella elettrochimica completa. E' importante rendersi conto che un elettrodo combinato immerso nella soluzione test e' perfettamente equivalente ad una cella elettrochimica ``convenzionale'', cioe' del tipo che abbiamo illustrato finora. La figura 1.12 mostra la ``metamorfosi'' che porta da una cella usuale ad un elettrodo combinato.

Figura 1.12: ``Metamorfosi'' di una cella usuale in elettrodo combinato.

\begin{psfrags}
\psfrag{dummy}{}
\psfrag{voltmeter}{voltmetro}
\psfrag{I}[r][r]{...
...{\xy*+{\mbox{\large{}4}}*\cir{}\endxy }
\includegraphics{combo.eps}\end{psfrags}

Nello stadio 1 si vede la cella elettrochimica ``convenzionale'': ``I'' sta ad indicare la semicella dell'elettrodo indicatore (ad esempio il solito filo di $Ag$) contenente la soluzione test; ``R'' indica la semicella dell'elettrodo di riferimento (ad esempio un elettrodo ad $AgCl/Ag$ con una soluzione satura di $KCl$). Le due semicelle sono separate da un setto poroso indicato dalla linea tratteggiata. Infine, e' mostrato un voltmetro che misura la differenza di potenziale della cella.

Il primo passo per arrivare all'assemblaggio combinato consiste nel prendere (idealmente) la semicella di riferimento e immergerla nella semicella dell'elettrodo indicatore: si arriva cosi' allo stadio 2. Naturalmente, per mantenere il contatto elettrico fra le due semicelle, nella semicella di riferimento e' presente una ``finestra'' costituita dal setto poroso (indicata con la linea tratteggiata nella figura). Notate che, nella sostanza, non e' cambiato nulla; solo la forma della cella e' cambiata.

Nello stadio successivo, il numero 3, abbiamo preso il metallo dell'elettrodo indicatore e lo abbiamo messo in contatto con la soluzione test, ma facendolo passare attraverso la semicella di riferimento. Ovviamente, siccome il metallo dell'elettrodo indicatore deve stare in contatto solo con la soluzione test (e non con la soluzione dell'elettrodo di riferimento) la parte di metallo che passa attraverso la soluzione dell'elettrodo di riferimento e' stata opportunamente isolata inserendola all'interno di uno stretto tubo in vetro (indicato in grigio nella figura). Un altro cambiamento che si e' verificato nel passaggio da 2 a 3 riguarda il setto poroso, che si ridotto ad una finestrella avente le dimensioni di $1-2\;mm$. Di nuovo: solo la forma sta cambiando, ma le varie parti e la loro connessione rimangono inalterate.

Nello stadio 4 la metamorfosi si e' conclusa: l'elettrodo combinato e' completato da un coperchio superiore da cui escono i cavi collegati al riferimento e all'elettrodo indicatore. Inoltre, e' stato aggiunto un piccolo raccordo in vetro con tappo che serve per aggiungere soluzione (all'occorrenza) nella semicella di riferimento.

A questo punto, dovrebbe esservi chiaro che l'elettrodo combinato immerso nella soluzione test dello stadio numero 4 e' perfettamente equivalente alla cella ``convenzionale'' dello stadio numero 1 da cui siamo partiti.

Titolazioni potenziometriche

33.  Immaginiamo di compiere una titolazione di ioni $Cl^-$ con una soluzione standard di $AgNO_3$. Nel corso della titolazione la concentrazione di ioni $Ag^+$ in soluzione varia: prima del punto di equivalenza essa sara' molto piccola poiche' gli ioni $Cl^-$ sono in eccesso; al punto di equivalenza la concentrazione degli ioni $Ag^+$ subisce un brusco incremento poiche' gli ioni $Cl^-$ ``finiscono''; dopo il punto di equivalenza, la concentrazione di ioni $Ag^+$ aumenta all'aumentare del volume di soluzione titolante aggiunto.

Sulla base di quello che abbiamo appreso finora, possiamo comprendere facilmente che, se immergiamo un filo di argento nel beaker in cui stiamo conducendo la titolazione, realizziamo un elettrodo ad $Ag^+/Ag$ il cui potenziale seguira' le variazioni di concentrazione degli ioni argento nel corso della titolazione.

Una titolazione potenziometrica, dunque, consiste in una titolazione ordinaria in cui la misura potenziometrica viene utilizzata per monitorare il corso della titolazione.

Se vogliamo seguire la titolazione di $Cl^-$ con $AgNO_3$ per via potenziometrica non e' sufficiente immergere un filo d'argento nel beaker contenente la soluzione da titolare: sappiamo che oltre all'elettrodo indicatore abbiamo bisogno di un elettrodo di riferimento rispetto al quale misurare il potenziale del primo. Dovremo percio' allestire una cella (figura 1.13) o, piu' comodamente, usare un elettrodo combinato (figura 1.14).

Figura 1.13: Titolazione di ioni $Cl^-$ con $AgNO_3$ seguita per via potenziometrica.

\begin{psfrags}
\psfrag{dummy}{}
\psfrag{voltmeter}{voltmetro}
\psfrag{buret}{bu...
...}
\psfrag{ind}[c][c]{indicatore}
\includegraphics{cl-titration.eps}\end{psfrags}

Figura 1.14: Titolazione di ioni $Cl^-$ con $AgNO_3$ seguita per via potenziometrica con un elettrodo combinato.

\begin{psfrags}
\psfrag{dummy}{}
\psfrag{voltmeter}{voltmetro}
\psfrag{buret}{bu...
...ag{ref}[l][l]{riferimento}
\includegraphics{cl-titration-combo.eps}\end{psfrags}

Come abbiamo gia' visto piu' volte, la differenza di potenziale misurata dal voltmetro e' data da:

\begin{eqnarray*}
\mathit{ddp}&=&E_{Ag^+/Ag}-E_{rif}+E_{giunto}\\
&=&E^\circ_{Ag^+/Ag}+\frac{RT}{F}\ln\left[Ag^+\right]-E_{rif}+E_{giunto}\\
\end{eqnarray*}



Come abbiamo detto prima, la concentrazione di ioni $Ag^+$ cambia in funzione del volume di soluzione titolante aggiunto: la relazione su scritta mostra che la differenza di potenziale della cella riflettera' questo cambiamento. Possiamo allora costruire una tabella in cui, per ogni valore del volume di titolante aggiunto, riportiamo il corrispondente valore di differenza di potenziale letto dal voltmetro. Diagrammando i dati cosi' raccolti otterremo una tipica curva di titolazione di forma sigmoide: il flesso di tale curva, facilmente determinabile, come vedremo, individua cio' che rappresenta lo scopo della titolazione, e cioe' il volume di equivalenza (figura 1.15).

Figura 1.15: Una tipica curva di titolazione potenziometrica.
\begin{figure}
\begin{center}
{\Large\sf\input{titration-curve.pslatex}}
\end{center}\end{figure}

34.  Le titolazioni potenziometriche presentano dei vantaggi rispetto alle misure potenziometriche dirette. Siccome il punto finale viene determinato dal flesso della curva di titolazione, non e' necessario conoscere con esattezza il potenziale dell'elettrodo di riferimento (diversamente da quanto avviene invece in una misura potenziometrica diretta). Infatti, dall'espressione della differenza di potenziale prima scritta, si vede che il termine $E_{rif}$ interviene come un semplice addendo: cio' vuol dire che il suo effetto e' semplicemente quello di traslare verticalmente la curva di titolazione. Ma questo non ha alcuna influenza sulla posizione del flesso lungo l'asse delle ascisse. Un altro vantaggio delle titolazioni potenziometriche rispetto alle misure dirette riguarda il potenziale di giunto ( $E_{\mathit{giunto}}$ nell'espressione piu' sopra). Questo, come sappiamo, e' difficile da misurare o calcolare e quindi rappresenta una fonte di errore ineliminabile. Tuttavia, la variazione del potenziale di giunto durante una titolazione e' sicuramente molto piccola: in altre parole, i valori di differenza di potenziale che leggiamo nel corso di una titolazione sono affetti da un errore uguale per tutti. Come per il termine $E_{rif}$, cio' determina solo una traslazione verticale della curva di titolazione, senza alcuna conseguenza nella determinazione del punto finale.

35.  Qualsiasi titolazione puo' essere seguita per via potenziometrica: e' sufficiente disporre di un elettrodo indicatore il cui potenziale dipenda dalla concentrazione di una delle specie chimiche che partecipano alla reazione su cui la titolazione e' basata. Citiamo qualche ulteriore esempio.

Analisi delle curve di titolazione

36.  Come abbiamo detto, al termine di una titolazione potenziometrica ci ritroviamo con una tabella in cui, per ogni valore del volume di soluzione titolante, abbiamo riportato la corrispondente differenza di potenziale letta sul voltmetro. La prima cosa da fare e' costruire un grafico in cui si riporta la differenza di potenziale in funzione del volume di titolante.

Una volta costruita la curva di titolazione, si pone il problema della determinazione del punto finale, corrispondente al flesso della curva.

La cosa piu' semplice e' quella di stimare ad occhio la posizione del flesso. Quando il salto della curva in corrispondenza al punto finale e' sufficientemente netto, la precisione del risultato ottenibile con questo sistema e' sicuramente comparabile con quella fornita da metodi piu' sofisticati.

Fra i tanti metodi grafici sviluppati a questo scopo, citiamo i seguenti due.

Figura 1.16: Metodo grafico per la determinazione del punto finale in una titolazione potenziometrica

\begin{psfrags}
\psfrag{dummy}{}
\psfrag{volume}[c][c]{volume di titolante}
\psf...
...{2}{2}
\psfrag{3}{3}
\psfrag{4}{4}
\includegraphics {endPoint1.eps}\end{psfrags}

Figura 1.17: Metodo grafico per la determinazione del punto finale in una titolazione potenziometrica

\begin{psfrags}
\psfrag{dummy}{}
\psfrag{volume}[c][c]{volume di titolante}
\psf...
...{6}{6}
\psfrag{7}{7}
\psfrag{8}{8}
\includegraphics {endPoint2.eps}\end{psfrags}

37.  Allo scopo di aumentare la precisione (ad esempio quando il salto in corrispondenza del punto finale non e' molto netto) si possono elaborare numericamente i dati ottenuti ricavando la derivata prima e seconda della curva di titolazione. Al termine dell'esperienza si e' in possesso di una sequenza di $N$ coppie di valori $(V_i,
\mathit{ddp}_i)$. Allora e' possibile costruire una sequenza di $(N-1)$ coppie di valori $(V^\prime_i, (\Delta{}\mathit{ddp}/\Delta{}V)_i)$, con:

\begin{eqnarray*}
V^\prime_i&=&\frac{V_i+V_{i+1}}{2}\\
\left(\frac{\Delta{}\mat...
...{ddp}_{i+1}-\mathit{ddp}_i}{V_{i+1}-V_i}\\
i&=&1\cdots (N-1)\\
\end{eqnarray*}



Notate che $(\Delta{}\mathit{ddp}/\Delta{}V)_i$ e' la pendenza della retta che passa per i punti di coordinate $(V_i,
\mathit{ddp}_i)$ e $(V_{i+1},\mathit{ddp}_{i+1})$, e quindi rappresenta un'approssimazione alla derivata prima della curva di titolazione nel punto medio fra $V_i$ e $V_{i+1}$, cioe' $(V_i+V_{i+1})/2$. La cosa e' illustrata nella figura 1.18.

Figura 1.18: L'approssimazione della derivata della curva di titolazione

\begin{psfrags}
\psfrag{dummy}{}
\psfrag{ddp2}[r][r]{{$\mathit{ddp}_{i+1}$}}
\ps...
...hit{ddp}_{i+1}-\mathit{ddp}_i)$}}
\includegraphics {derivative.eps}\end{psfrags}

Siccome la curva di titolazione ha un andamento sigmoide, la sua derivata prima mostrera' un picco pronunciato in corrispondenza al punto finale, che ne consente una piu' facile determinazione. (Per rendervi conto di come la derivata prima di una sigmoide sia una funzione a picco, considerate come varia la pendenza di una retta tangente alla curva $y(x)$ in figura 1.19 al variare di $x$)

Figura 1.19: Le derivate prima e seconda di una funzione sigmoide
\begin{figure}
\begin{center}
{\Large\sf\input{der12.pslatex}}
\end{center}\end{figure}

Il procedimento puo' essere ripetuto per ottenere la derivata seconda. A partire dalle $(N-1)$ coppie di valori $(V^\prime_i,
(\Delta\mathit{ddp}/\Delta{}V)_i)$ e' possibile ricavare $(N-2)$ coppie di dati $(V^{\prime\prime}_i, (\Delta^2\mathit{ddp}/\Delta{}V^2)_i)$, con:

\begin{eqnarray*}
V^{\prime\prime}_i&=&\frac{V^\prime_i+V^\prime_{i+1}}{2}\\
\l...
...}\right)_{i}}{V^\prime_{i+1}-V^\prime_i}\\
i&=&1\cdots (N-2)\\
\end{eqnarray*}



Siccome la derivata prima della curva di titolazione e' una funzione a picco, la sua derivata (cioe' la derivata seconda della curva di titolazione) sara' una funzione che presenta una brusca oscillazione che taglia l'asse delle ascisse in corrispondenza al punto finale (figura 1.19).

Nonostante questi metodi possano risultare accattivanti, va comunque tenuto presente che essi sono limitati dal livello di ``rumore'' associato ai dati sperimentali raccolti: l'operazione di derivazione comporta infatti un'inevitabile amplificazione degli errori sempre presenti nelle misure sperimentali, portandoli in molti casi a livelli inaccettabili.

Un esempio di applicazione di questo metodo a un caso reale e' mostrato nella figura 1.20.

Figura 1.20: Le derivate prima e seconda di una curva di titolazione reale
\begin{figure}
\begin{center}
{\sf\input{der12-exp.pslatex}}
\end{center}\end{figure}

38.  Un approccio numerico completamente diverso all'analisi della curva di titolazione consiste nell'approssimazione della curva stessa con una opportuna funzione analitica.

L'idea si basa sulla seguente considerazione: siccome il nostro interesse e' quello di trovare il flesso della curva di titolazione, e' sufficiente scovare una funzione qualsiasi che segua bene l'andamento dei punti sperimentali in un intervallo non molto ampio e centrato intorno al punto di flesso. Una volta trovata una funzione simile, e' sufficiente farne la derivata seconda e porla uguale a zero: e' questa la ben nota (mi auguro!) condizione per un punto di flesso.

Uno fra i possibili modelli analitici in grado di riprodurre il tipico andamento di una curva di titolazione e' quello che segue:

\begin{eqnarray*}
\mathit{ddp}(V)&=&\frac{p_1}{1+\exp\left(p_2\left(V-p_3\right)\right)}+p_4V^3+p_5V^2+p_6V+p_7
\end{eqnarray*}



Questa relazione esprime la differenza di potenziale misurata $\mathit{ddp}$ come funzione del volume di titolante $V$. I termini $p_1\dots{}p_7$ sono dei parametri: mentre le caratteristiche generali della funzione sono determinate dalla sua forma analitica, il suo aspetto particolare e' determinato dal valore numerico dei parametri. Per comprendere cosa significhi cio', facciamo un semplicissimo parallelo. Sappiamo tutti che la funzione:

\begin{eqnarray*}
y(x)=mx+q
\end{eqnarray*}



rappresenta una retta nel piano cartesiano. Questa (cioe' quella di essere una retta) e' una caratteristica insita nel modello analitico, indipendente dal particolare valore dei parametri, che in questo caso sono $m$, la pendenza, e $q$, l'intercetta. La forma che abbiamo scritto sopra rappresenta una (doppia) infinita' di rette: possiamo individuare una particolare retta di questo insieme assegnando due particolari valori a $m$ e $q$.

Cerchiamo di comprendere in modo qualitativo come e' fatto il modello proposto per approssimare le curve di titolazione. A questo scopo, e' utile riscriverlo come somma di due parti:

\begin{eqnarray*}
y_1(V)&=&\frac{p_1}{1+\exp\left(p_2\left(V-p_3\right)\right)}\...
...)&=&p_4V^3+p_5V^2+p_6V+p_7\\
\mathit{ddp}(V)&=&y_1(V)+y_2(V)\\
\end{eqnarray*}



Il termine $y_1(V)$ e' la parte piu' significativa del modello: esso rappresenta una funzione sigmoide le cui caratteristiche dipendono dai tre parametri $p_1,p_2,p_3$. L'andamento di $y_1(V)$ e' mostrato nella figura 1.21: in pratica la funzione e' contenuta in una ``striscia'' delimitata dall'asse $V$ e dalla retta orizzontale $y=p_1$; presenta un punto di flesso la cui posizione lungo l'asse $V$ coincide con il parametro $p_3$; restringendoci ai soli valori positivi del parametro $p_1$, la funzione e' crescente se $p_2<0$ e decrescente se $p_2>0$; infine, la ``ripidezza'' del salto compiuto dalla funzione in corrispondenza al punto di flesso e' proporzionale al valore assoluto di $p_2$ (dovreste essere in grado di verificare tutto cio' con le tecniche di analisi che avete appreso alla scuola media superiore).

Figura 1.21: L'approssimazione di una curva di titolazione potenziometrica con la funzione descritta nel testo: i due tratti verticali indicano la regione dell'asse $V$ selezionata per la procedura di ottimizzazione. I valori ottimizzati dei parametri sono: $
p_1= 1.436,\;
p_2= -1.977,\;
p_3= 14.898,\;
p_4= -8.45\times10^{-4},\;
p_5= 0.040,\;
p_6= -0.429,\;
p_7= 3.877
$
\begin{figure}
\begin{center}
{\sf\input{fit.pslatex}}
\end{center}\end{figure}

Il termine $y_2(V)$, che non e' altro che un polinomio di terzo grado, e' stato introdotto per due motivi. Il primo e' che le curve di titolazione sperimentali possono essere traslate arbitrariamente lungo l'asse verticale mentre la funzione $y_1(V)$ tende inevitabilmente a $0$, per $V\rightarrow+\infty$ o $V\rightarrow-\infty$ (a seconda del segno di $p_1$ e $p_2$): $y_2(V)$ ha quindi il compito di traslare opportunamente la sigmoide affinche' possa seguire la curva sperimentale. Il secondo scopo del termine polinomiale e' quello di aumentare le ``possibilita' di adattamento'' della sigmoide all'andamento dei punti sperimentali.

Come si procede in pratica? Alla fine dell'esperimento di titolazione potenziometrica abbiamo un grafico della differenza di potenziale misurata in funzione del volume di titolante aggiunto. A questo punto il problema e' quello di determinare i valori dei parametri $p_1\cdots{}p_7$ per i quali il modello analitico segue l'andamento dei dati sperimentali nel modo migliore possibile. Problemi di questo tipo sono detti di ``modellizzazione'' o ``best fit'' ed esistono numerosissimi metodi per la loro soluzione (saro' lieto di dare maggiori dettagli a chi sia interessato). In definitiva, i dati sperimentali vengono immessi in un programma che realizza un algoritmo tramite il quale i valori dei parametri vengono iterativamente affinati finche' l'accordo fra modello e dati sperimentali risulta il migliore possibile; a questo punto, il programma risolve l'equazione:

\begin{eqnarray*}
\frac{d^2}{dV^2}ddp(V)&=&0
\end{eqnarray*}



fornendo cosi' il valore del volume finale.

Nella figura 1.21 e' illustrato il procedimento di ottimizzazione di cui stiamo parlando applicato ad un caso reale. Per maggior chiarezza, i termini ottimizzati $y_1(V)$ e $y_2(V)$ sono mostrati separatamente nei primi due grafici; nel terzo grafico i circoletti sono i punti sperimentali mentre la linea continua e' il grafico della funzione $ddp(V)=y_1(V)+y_2(V)$ con i valori ottimizzati dei parametri. Osservate come i dati sperimentali descrivano una sigmoide compresa all'incirca fra $2$ e $6$, mentre la funzione $y_1(V)$, come detto prima, e' compresa fra $0$ e $\approx1.5$: il termine $y_2(V)$ trasla la sigmoide portandola sui punti sperimentali. Osservate ancora che l'accordo del modello con i dati sperimentali e' piuttosto buono solo in un intervallo limitato e centrato intorno al punto finale: al di fuori di questo intervallo (si vede particolarmente bene per $V\rightarrow0$) la funzione analitica non segue affatto i dati sperimentali. Questo non e' un problema, visto che siamo interessati solo al punto di flesso della curva di titolazione e quindi ci basta che la funzione coincida il piu' possibile con la curva di titolazione solo in un intorno del flesso.


next up previous contents
Next: Esperienze di titolazione potenziometrica Up: POTENZIOMETRIA Previous: Il potenziale di giunto